Peter Tazelaar, il Soldato d’Orange che
l’Archivio dell’Aia sta riscoprendo

Il primo giorno lavorativo di gennaio è una vera festa per gli storici olandesi: è il momento in cui l’archivio nazionale dell’Aia rende pubblici documenti che prima non erano accessibili a nessuno.

È durato settantacinque anni l’embargo sul fascicolo di Peter Tazelaar ed è emerso che è lui il vero Soldato d’Orange, divenuto il titolo di un libro di successo, di un film del 1977 che incassò più di ogni altra opera e di un musical che, in vari teatri del Paese, va in scena ogni sera da nove anni.

Finora tutti avevano identificato questa figura di eroe della Resistenza al nazismo in Hazelhoff Roelfzema, uno studente di Leiden. Nelle varie fiction è stato finora Roelfzema il protagonista, sebbene, soprattutto negli ultimi anni di vita, questi abbia cercato di ristabilire la verità, lodando il “coraggio ai limiti dell’impossibile” di Tazellar. Roelfzema certamente ebbe grandi meriti, assieme al commilitone Chris Krediet. Fu tuttavia Peter Tazelaar, pilota e marinaio nato in Frisia, grande coraggio e pessimo carattere, il coordinatore e principale protagonista dell’operazione “Contact Holland” che intercettò molte volte in anticipo i piani nazisti. Un’attività di spionaggio, di trasmissione via radio e altri canali di informazioni strategiche che fu vitale per il governo della Regina Guglielmina, in esilio alla Corte di San Giacomo, ospite dei Windsor. Un’azione di impareggiabile valore per l’intelligence briannica, il MI6 che, col colonnello Euan Rabagliati, coordinava l’operazione “Contact Holland”.

Peter non ricevette mai il riconoscimento di Soldato d’Orange e fu sempre, nella storia finora ricostruita, così come sul grande schermo come sul palcoscenico, un valente comprimario dell’attore che impersona Roefzema.

Eppure, fu proprio lui il primo agente a essere lasciato dagli inglesi al largo di Scheveningen, all’epoca già nota spiaggia a nord dell’Aia. Il 23 novembre 1941, sotto la tuta gommata (ancora non una vera muta), Peter Tazelaar aveva addosso uno smoking. L’agente olandese, che si spruzzò di cognac Hennesy, fece finta di essere un gaudente ospite reduce da una festa e riuscì a passare inosservato. Dietro alle sentinelle tedesche che pattugliavano la spiaggia davanti al Casinò.

Con la radio paracadutata giorni prima, mandò subito il segnale a Londra. Contattò immediatamente il colonnello Rabagliati (scozzese con nonni italiani, esuli politici), quindi il MI6 e non

l’ammiraglio Fustner, olandese. Per tutta la missione Tazelaar mostrò di capire che, se c’era una debole possibilità di successo e di uscirne vivo, era direttamente al comando britannico che doveva rapportarsi, e non con il volonteroso ma meno attrezzato stato maggiore della Regina Guglielmina, che Churchill, spazientito, un giorno definì “l’unico vero uomo del governo olandese in esilio”. È chiaro che anche questo pragmatismo di Tazelaar lo rese meno gradito, alla fine e dopo la guerra.

La circostanza dello smoking era ben nota nel 1964 allo sceneggiatore di Goldfinger Paul Dehn, che aveva servito durante la guerra nel SOE, lo Special Operation Executive britannico, organismo rimasto a lungo non noto e che aveva il compito di sabotare, raccogliere informazioni e sostenere i movimenti di resistenza. Dehn fa quindi indossare a James Bond- Sean Connery, sotto la muta, lo smoking, ed è con questa scena-preludio che si apre il film. Una citazione e un omaggio di Dehn al coraggio di Tazelaar, ripresa anche dal musical.

Euan Rabagliati del MI6 è, nelle varie trasposizioni letterarie, cinematografiche e teatrali, il “Colonel Rafelli”. La resistenza nei Paesi Bassi si sviluppò relativamente tardi, ma lo sciopero del 1941 contro la cattura e la deportazione di quattrocento ebrei olandesi ne segnò storicamente l’inizio nelle sue varie forme: passiva, di non collaborazione con gli occupanti, di nascondimento dei perseguitati e di vera e propria intelligence coordinata dagli Alleati. Vennero chiamati i “marinai olandesi” i circa millesettecento che riuscirono in una traversata drammatica del Mare del Nord a raggiungere l’Inghilterra e ad offrire alla regina Guglielmina di propri servigi per tornare, da agenti o da piloti, nella Germania occupata. Molti di loro, dopo lunghi controlli e interrogatori per sincerarsi che non fossero spie, venivano ammessi a colloquio con la sovrana in esilio e reclutati.

Peter Tazelaar, in seguito, fece anche parte come comandante dello squadrone 322 della RAF.

Cosa svelano i documenti finalmente resi pubblici a gennaio? Prima di tutto il ruolo di coordinatore di Peter Tazelaar, poi la sua umana delusione nel sentirsi messo da parte, agente prezioso in azione, personalità difficile in circostanze normali. Ricevette comunque, due anni dopo gli altri due protagonisti del trio “Contact Holland”, l’ordine militare di Guglielmo e una foto lo ritrae deporre dei fiori al funerale di Guglielmina.

Addestrò truppe in Canada, fece il pompiere a Londra, nelle Indie Occidentali, colonia olandese, fece parte della polizia militare e fu coinvolto nella detenzione e negli interrogatori (non torture) di alcuni combattenti per l’indipendenza, che fu ottenuta nel 1949. Si sposò quattro volte. È questo il soldato d’Orange, a conferma che la storia, e le storie di ciascuno, non sono né un film con eroi tutti d’un pezzo né un musical romantico.